Il dolore muscolo-scheletrico è oramai, su scala globale, la principale causa di disabilità, determinando costi rilevanti per la comunità intera e rendendo necessario un cambiamento nelle strategie di cura ed assistenza sanitaria.
In base ad alcuni report, infatti, le modalità di gestione dei pazienti con disturbi muscolo-scheletrici risulterebbero inadeguate e di scarsa qualità, con lacune nei processi “evidence-to-practice” (dall’evidenza alla pratica clinica) e conseguente spreco di risorse.

Alcuni esperti insistono sull’importanza della stesura di corrette linee guida per la pratica clinica, con idonee “raccomandazioni intese a ottimizzare la cura del paziente, fondate su una revisione sistematica delle prove e valutazioni dei benefici/danni derivabili dalle opzioni di cura alternative” (Institute of Medicine, 2011) e che potrebbero garantire migliori risultati a costi inferiori.

Spinti da queste circostanze, i ricercatori Ivan Lin et al., hanno condotto e pubblicato sul “British Journal Of Sport Medicine” un virtuoso lavoro di revisione sistematica, valutazione critica e sintesi narrativa delle più moderne linee guida per la pratica clinica sul dolore muscolo-scheletrico, evidenziando gli errori comunemente commessi durante le procedure di assistenza sanitaria e proponendo principi generali utili a migliorarne l’efficienza.

Quali sono gli errori metodologici nel processo di cura del dolore muscolo-scheletrico?

Nello studio, vengono riportati alcuni esempi di errata gestione clinica dei pazienti con disturbi muscolo-scheletrici, tra cui:

  1. ricorso eccessivo all’imaging: l’imaging non fa la diagnosi. Nonostante i risultati raccolti negli ultimi decenni dimostrino una scarsa relazione tra i sintomi riportati e i risultati dell’imaging e nonostante le moderne linee guida sconsiglino il ricorso di routine a mezzi diagnostici se non in presenza di reali o presunti danni anatomici, il 25-42% dei pazienti con lombalgia (LBP) viene sottoposto ad imaging. Altri dati riporterebbero che il 69% dei medici di medicina generale (MMG), di fronte ad un primo esordio di tendinopatia, indirizzerebbero i pazienti verso un approfondimento radiologico, mentre un 82% farebbe ricorso ad esame ecografico per problematiche localizzate alla cuffia dei rotatori;
  2. ricorso eccessivo alla chirurgia: in caso di gonartrosi, l’artroscopia non dovrebbe essere raccomandata, tuttavia, il suo tasso di utilizzo nella popolazione generale degli Stati Uniti è aumentata dal 3% al 4%. Il tasso di interventi di decompressione sub-acromiale e riparazione chirurgica della cuffia dei rotatori, è aumentato notevolmente nonostante le prove asseriscano che i risultati degli interventi siano equiparabili alla semplice riabilitazione o alla chirurgia-placebo;
  3. ricorso eccessivo a farmaci (oppioidi in particolare): l’efficacia degli oppioidi per la gestione del dolore muscolo-scheletrico è discutibile, sia per il dolore cronico che per il dolore acuto: l’uso precoce di oppioidi nella cura del LBP è stato associato ad esiti statisticamente peggiori (ma nonostante tutto vi è un uso crescente di oppioidi);
  4. mancanza di istruzione e consulenza ai pazienti: educare i pazienti ad una corretta gestione del dolore muscolo-scheletrico dovrebbe essere una prassi più che comune, tuttavia, solo il 20% dei pazienti con LBP ha ricevuto consulenza e istruzione in un contesto di cure primarie.

I criteri di identificazione delle raccomandazioni

Gli autori hanno elaborato alcune macrocategorie di riferimento intorno alle quali si orienterebbero le raccomandazioni pratiche basate sulle evidenze (EBP). In particolare, sono state redatte categorie inerenti a:

  1. Ciò che il paziente DOVREBBE fare: ovvero, quelle raccomandazioni applicabili in tutte le circostanze (ad esclusione di cause oggettivamente controindicate) e basate su prove di evidenza, studi di alta qualità, effetti positivi clinicamente rilevanti, benefici eccedenti rischi;
  2. Ciò che il paziente POTREBBE fare: ovvero, raccomandazioni applicabili a seconda delle circostanze, in quanto basate su prove coerenti ma derivanti da studi di qualità inferiore o da un unico studio di alta qualità e ricerche in cui si attesta come i benefici riscontrati superano i danni potenziali;
  3. Ciò che il paziente NON DOVREBBE fare: queste raccomandazioni rientrano in un contesto di evidente ASSENZA di benefici e/o possibilità che i danni conseguenti alla terapia siano superiori ai benefici;
  4. Raccomandazioni INCERTE: in questa categoria rientrano principi o approcci che hanno riportato risultati incompleti/incoerenti e che non permettono giudizi favorevoli o contrari alla terapia.

Le 11 raccomandazioni per un approccio evoluto al dolore muscolo-scheletrico

Elaborate le macrocategorie, gli autori hanno sintetizzato le raccomandazioni nei seguenti undici punti:

  1. Assicurarsi che l’assistenza sia centrata sul paziente ed elaborata ad hoc sul singolo caso: l’assistenza centrata sul paziente include la fornitura di un’assistenza personalizzata e contestuale (paziente e sue preferenze/caratteristiche), l’elaborazione di un processo decisionale condiviso e l’utilizzo di una comunicazione efficace.
  2. Individuare eventuali red flags: è stata sottolineata la necessità di individuare, evidenziare ed escludere, in fase di valutazione iniziale, eventuali red flag nel paziente. Devono essere scartati sospetti di infezione, malignità, frattura, deficit neurologici gravi e progressivi e condizioni gravi che potrebbero mascherarsi da dolore muscolo-scheletrico (es. aneurisma aortico).
  3. Valutare i fattori psicosociali: viene raccomandata la valutazione dei fattori psicosociali (yellow flags), fra cui troviamo: stato d’animo, umore, emozioni, depressione, ansia, paura, relazioni sociali, chinesiofobia ed aspettative di recupero.
  4. Utilizzare l’imaging in modo selettivo: ovvero, ricorrere all’imaging solo in presenza di sospetta red flag, insoddisfacente risposta alle cure conservative, progressione inspiegabile dei segni/sintomi del paziente e quando diventa probabile la necessita di cambiamenti della gestione clinica.
  5. Eseguire un esame clinico fisico come lo screening neurologico: le valutazioni fisiche includono test di mobilità, motilità, forza, posizione e propriocezione. Lo scopo di questi esami fisici dovrebbe essere quello di dare un supporto aggiuntivo alla diagnosi ed alla classificazione dei disturbi muscolo-scheletrici. Ad esempio, per la spalla questo include la differenziazione tra l’origine del dolore tendineo, articolare o riferito. Per differenziare il dolore di origine radicolare sono consigliati i test neurologici.
  6. Monitorare i progressi del paziente con gli strumenti clinici a disposizione (es. questionari, test ed inventory): viene raccomandata la valutazione dei progressi del paziente con misure di outcome convalidate.
  7. Fornire istruzioni/informazioni sul self-management del problema: dieci linee guida per la pratica clinica raccomandano di fornire istruzione o informazioni per incoraggiare l’autogestione sintomatologica del paziente ed informare/rassicurare i pazienti sulla loro condizione e capacità auto-gestiva, come parte del “pacchetto di cura”.
  8. Far eseguire sempre esercizio fisico: tutte le linee guida includevano raccomandazioni relative all’attività fisica ed esercizio, orientandosi sia sull’esercizio di tipo aerobico, di rafforzamento muscolare, mobilità ed elasticità.
  9. Utilizzare la terapia manuale solo come integrazione ed in aggiunta ad altri trattamenti/consigli evidence-based: in sette linee guida, la terapia manuale era una raccomandazione inerente al “ciò che il paziente POTREBBE fare” (una possibilità più che una necessità) mentre in una linea guida la terapia manuale rientrava nelle raccomandazioni di necessità. In generale, piuttosto che essere utilizzata come unico trattamento, la terapia manuale dovrebbe essere raccomandata ed inclusa con altre strategie di gestione (es. esercizio fisico, terapia psicologica, informazione/educazione del paziente, consigli sull’attività).
  10. Offrire assistenza non chirurgica, di qualità, prima di sbilanciarsi verso un intervento chirurgico: quattro linee guida hanno raccomandato che ai pazienti venissero forniti trattamenti conservativi prima di considerare qualsiasi intervento chirurgico.
  11. Mantenere sempre i pazienti attivi, scoraggiando l’inattività e consigliando il ritorno alle attività lavorative: cinque linee guida hanno offerto raccomandazioni di necessità rispetto al re-impiego ed alla continuazione delle attività lavorative quando i pazienti sono soggetti a dolore muscolo-scheletrico. Rimanere attivi evitando l’immobilità, aumentare gradualmente i livelli di attività ed il coinvolgimento lavorativo sono principi condivisi e consigliabili in tutte le forme di disturbi muscolo-scheletrici.

Esempio clinico

Lombalgia (LBP)

  • Non proporre il paracetamolo come singolo farmaco;
  • Non proporre oppioidi in caso di mal di schiena cronico;
  • Non proporre inibitori del re-uptake della serotonina (o della serotonina-norepinefrina), antidepressivi triciclici o farmaci anticonvulsivi;
  • Non proporre scarpe ortopediche o plantari;
  • Non proporre interventi di rimozione del disco;
  • Non utilizzare iniezioni spinali (es. a livello delle faccette articolari, blocchi di plessi, iniezioni intradiscali, proloterapia e iniezioni di punti trigger);

Bibliografia

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Vos T, Abajobir AA, Abate KH, et al. Global, regional, and national incidence, prevalence, and years lived with disability for 328 diseases and injuries for 195 countries, 1990–2016: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2016 – The Lancet 2017;390:1211–59.

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